Da qualche mese, gli attacchi di panico hanno ripreso a bussare forte alla mia porta, dopo poco più di due anni, tenendomi spesso sveglia fino a tarda notte. Li sento entrare come un gatto che trova sempre il modo di infilarsi in una fessura. Sento i loro passi e inizio a tremare perché so che salteranno sul letto con forza, verranno ad annusarmi, mi faranno sudare senza che io possa evitarlo. Le mie membra si bloccano, il mio petto diventa sempre più caldo come se ci fosse un incendio in corso. A poco a poco si espande, fino ad arrivare alla gola e poi al cervello, bloccando ogni via di fuga. In posizione supina, faccio respiri sempre più profondi, fino a riacquistare lucidità. “Il gatto è tornato”, ho pensato quando è avvenuto il primo episodio, sussurrando a me stessa, con il braccio ancora dolorante, che ero ancora viva e forse avrei potuto dormire per qualche ora.
La mia esperienza non è diversa da quella raccontatami da chi ne soffre. Forti palpitazioni, sudorazione intensa, sensazione di soffocamento, dolore al petto, difficoltà respiratorie e paura di morire sono tra i sintomi di un attacco di panico, una delle più comuni manifestazioni di ansia patologica, un’esteriorizzazione di intensa paura accompagnata da sintomi sia somatici che cognitivi, con un esordio improvviso che raggiunge un picco e poi torna lentamente alla stabilità.
Uno recente studio condotto da alcuni ricercatori inglesi ha evidenziato che il Covid-19 ha avuto un impatto significativo sulla salute mentale dei giovani, con un aumento dei sintomi depressivi del 6%. Secondo dati Secondo i Centers for Disease Control and Prevention, tra aprile 2020 e agosto 2021 i tassi di ansia e depressione tra gli adulti sono stati circa quattro volte più alti rispetto al 2019.
In alcuni contesti sociali, parlare di salute mentale è ancora un tabù. Tuttavia, Ron Stolberg, professore associato presso l’Alliant International University di San Diego, California, mi ha detto che la pandemia ha aumentato la consapevolezza dei problemi di salute mentale, facendo sì che i giovani si sentano più a loro agio nel rivelare il loro bisogno di qualsiasi tipo di supporto. Afton Kapuscinski, psicoterapeuta e professore presso la Syracuse University di New York, mi ha detto che una combinazione di fattori predisponenti, come la genetica familiare, e fattori che causano stress significativo nella vita quotidiana, come grandi perdite, malattie, transizioni di vita, difficoltà finanziarie, problemi interpersonali, sono tra i principali fattori scatenanti.
Marta, una 24enne originaria di Madrid che sta per completare un master in demografia all’Università di Barcellona, mi ha raccontato che l’incertezza sul futuro si è inizialmente tradotta in un forte senso di apatia, seguito da tachicardia, agitazione, senso di solitudine, difficoltà respiratorie, formicolio agli arti, che l’hanno portata a cercare aiuto medico e uno specialista. Marta ne ha sempre parlato apertamente per normalizzarlo il più possibile, trovando sostegno tra le persone a lei più vicine. “Ci sono state persone che non sono riuscite a gestirlo, ma non le biasimo, perché non ci hanno mai insegnato come trattare le persone che soffrono di ansia o altri problemi di salute mentale”, ha detto Marta.
Al contrario, Gabriella, 25enne napoletana neolaureata in medicina, ha fatto fatica a parlare di quel senso di morte imminente, soprattutto in famiglia. “I miei genitori dicevano semplicemente che non ero abbastanza forte, se chiedevo il supporto di uno psichiatra dovevo cercare di non pensare ai momenti in cui soffrivo”, mi ha raccontato Gabriella. Quel tentativo di minimizzare ha lentamente generato in Gabriella un senso di inadeguatezza e impotenza, che l’ha portata a contemplare il suicidio. Fortunatamente, ora Gabriella sta meglio, grazie al ritorno alla normalità dopo il lockdown.
Alessia Romanazzi, psicoterapeuta, ha sottolineato come molti considerino l’ansia un sintomo che nasce per fare male ma in realtà ha lo scopo di “portare un messaggio, comunicare che qualcosa non va, che abbiamo abbandonato un bisogno o calpestato una paura”. “È come se ci rompessimo una gamba: possiamo aspettare che torni alla normalità da sola, ma rischiamo che l’osso si calcifichi male o ci metta molto tempo. Chiedere l’intervento di un chirurgo ortopedico è la cosa migliore da fare, lo stesso vale per l’ansia e gli attacchi di panico anche se in questo caso la figura necessaria è quella dello psicoterapeuta”, mi ha detto.
Le fa eco la testimonianza di Giada, una canadese di quarantaquattro anni, che ha trovato benefici nella meditazione e in uno stile di vita più sano, che ora trasmette a chiunque abbia problemi di salute mentale. “So che la maggior parte degli episodi sono stati causati dal dire di sì quando volevo dire di no o dal non dire la mia verità quando ne avevo bisogno, come se il corpo fosse arrabbiato con me e me lo comunicasse in modo aggressivo attraverso un attacco di panico”, mi ha detto.
Il primo passo è cercare l’aiuto di uno specialista ma è anche di vitale importanza non tenersi tutto dentro, porsi dei limiti, fermarsi, circondarsi di chi ci ama per quello che siamo senza farci sentire un mattone troppo pesante da portare sulle spalle. Un giorno qualcuno mi ha detto che con il tempo sarei diventata “amica” dell’ansia, così ho provato a farmene una. Ogni relazione è come un fiore che ha bisogno di cure, pazienza, tanto impegno per sbocciare, e questa non fa eccezione. Non credo di poterla già considerare la mia migliore amica, ma è parte di me, per questo ho imparato ad ascoltarla e a fidarmi piano piano, perché so che mi dice sempre la verità, senza tralasciare nessun dettaglio, anche apparentemente irrilevante. E alla fine è solo questo che conta, perché come mi hanno insegnato Marta, Gabriella, Giada, la prima cosa sei e sarai sempre tu.